“Ma quanto ingrandisce questo telescopio?”
E’ la domanda più frequente che ci sentiamo rivolgere. In realtà questa non è una caratteristica fondamentale dei telescopi. E’ molto più importante la capacità di raccolta della luce ed il potere di risolvere i dettagli fini dell’oggetto che vogliamo osservare (pianeta, nebulosa o galassia…). Quello che serve quindi è un’ampia superficie in grado di raccogliere quanti più fotoni possibile (teniamo presente che arrivano da lontano e sono estremamente deboli) e la superficie è funzione del diametro. Ecco perché si costruiscono telescopi sempre più grandi. L’ingrandimento poi dipende dal sistema che posizioniamo sul piano focale: un oculare, per poggiarci l’occhio, una macchina fotografica o un sensore sofisticato come il CCD.
Per fare un paragone, lo specchio (diametro) è come il motore di una macchina e gli oculari sono come le marce. Così come cambiando marcia si varia la velocità dell’auto, qui cambiando l’oculare si aumentano o diminuiscono gli ingrandimenti. Ci sono tuttavia alcuni “limiti di velocità”: a causa delle leggi fisiche che regolano l’ottica, abbiamo un ingrandimento minimo ed un ingrandimento massimo ottenibili e per questo telescopio sono rispettivamente 70x (oculare da 56 mm) e 1000x (oculare da 4mm). Sotto i 70 ingrandimenti, parte della luce che esce dall’oculare va perduta perché non colpisce più la nostra pupilla (il fascio è più grande del diametro pupillare), mentre sopra i 1000 ingrandimenti l’immagine che si ottiene non è più definita ed incisa, ma comincia a degradarsi e non vengono rivelati particolari o dettagli più fini. Di norma quindi non si dovrebbero superare gli ingrandimenti pari a due volte il diametro del telescopio, misurato in millimetri. Con telescopi particolarmente ben lavorati questo limite può arrivare a due volte e mezza, raramente oltre.
Per determinare a quale ingrandimento stiamo conducendo l’osservazione esiste una semplice regoletta aritmetica: si divide la lunghezza focale del telescopio per la lunghezza focale dell’oculare impiegato. Per esempio, questo telescopio ha una lunghezza focale di 4 metri (è un dato costruttivo, dipendente dal raggio di curvatura degli specchi), perciò se utilizziamo un oculare con lunghezza focale di 10 mm l’ingrandimento è 4000/10=400x; con un 20 mm sarà 4000/20=200x e così via.
Il secondo parametro importante è il potere risolutivo: anche questo dipende solo dal diametro del telescopio ed è comunque un limite teorico raggiungibile solo in condizioni ideali. La formuletta per ricavare il potere risolutivo è 120/D (in mm), quindi per il telescopio in questione la risoluzione teorica è pari a 0,24 secondi d’arco, un numero difficile da visualizzare e comprendere per cui preferisco esprimerlo più praticamente con le dimensioni dell’oggetto più piccolo discernibile sulla superficie lunare: 515 metri.
“Quanto si vede lontano con questo telescopio?”
Altra domanda piuttosto frequente. La risposta semplice e lapidaria sarebbe: fino ai confini dell’Universo. Non è un’esagerazione. Il telescopio è uno strumento che raccoglie luce, quindi è possibile rilevare tutto ciò che emette luce, sia esso un pianeta, una stella, un quasar (un buco nero, no, non emette luce…). Certo, più la sorgente è lontana e più lungo sarà il tempo necessario perché quella luce riesca ad essere registrata da una pellicola fotografica o, meglio, da un sensore digitale.
In visuale, cioè all’osservazione diretta, il discorso è diverso: il nostro occhio non è in grado di accumulare immagini una sull’altra, è progettato per darci una visione “in diretta” e dinamica, per cui appena una immagine è stata trasferita al cervello viene cancellata e sostituita dalla successiva. Quindi solo ciò che è sufficientemente luminoso da impressionare il sensore che abbiamo nell’occhio può essere rilevato.
Redatta da Franco Rama – Presidente Associazione Astronomica Valtellinese
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